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Gocce alla nebbia

Oggi vi voglio proporre un racconto a cui sono particolarmente legata, anche per il delicato tema che affronta: la dipendenza dagli psicofarmaci.

Nel 2010 intervenni insieme a un caro amico alla trasmissione di Cristiano Tassinari per parlare approfonditamente dell'argomento, che personalmente considero di alta sensibilità sociale a tutti i livelli.

Dopo il racconto, per chi volesse, lascio degli estratti della ricerca che avevamo fatto all'epoca per sensibilizzare sul reale peso di questo argomento.

Ora, però, buona lettura!!

Lady Eveline

GOCCE ALLA NEBBIA

CRISI.

“Dream on” girava a ripetizione nel lettore. Era blu. Quella canzone era blu come i suoi pensieri. “Sing for the year” cantava la sua mente, fondendosi con la voce di Tyler: le sussurrava di anni passati e di giorni futuri, ore in cui quel dolore che le straziava il corpo non sarebbe esistito se non come un brutto incubo. Il barattolo sul comodino la guardava ammiccante. Ricominciò il capitolo per la terza volta, ma neanche i mondi paralleli di Gaiman riuscivano a trascinarla lontano da quella bianca stanza. “Prendile! – urlava ogni sua singola vena – prendi quelle dannate gocce e starai meglio!”. No, non più, non voleva perdersi di nuovo in uno stato anestetico di semi-vita. Meglio il dolore, meglio quel lucido dolore.

IMPRESSIONI D'AUTUNNO.

Era il momento. Le poche cose che aveva erano al sicuro nello zaino. Blocco di fogli, matita, gomma. Il corridoio era deserto. Raggiunse il bagno; perfetto, sì, la finestra era ancora aperta. L'aveva fissata durante la cena in modo che non si chiudesse. Era fuori, in quel giardino ben curato che aveva visto cambiar colore per troppe stagioni. Doveva raggiungere le inferriate. Aveva la corda rubata in palestra già in mano. Ancora uno sforzo. Via di corsa, verso l'ignota libertà!

L'aria fredda del mattino, insieme al solito dolore, l'avevano svegliata. Aveva dormito in un parco, riparandosi in uno scivolo coperto per i bambini. Si alzò, tentando di distendere la schiena incricchiata, raggiunse una panchina e tirò fuori dallo zaino il panino che aveva rubato alla mensa. Gli alberi sfumavano tra l'oro e il rosso, ai loro piedi un tappeto di foglie. Non c'era nessuno, era ancora presto. Un pallido Sole tentava di forare le grigie nuvole che soffocavano il cielo. Un leggero, gelido vento le accarezzava pungente il viso. Cos'avrebbe fatto adesso? Se fosse tornata a casa l'avrebbero rispedita dritta alla clinica. No, meglio vivere anche pochi giorni da libera. Non voleva pensare ora. Tirò fuori il blocco di fogli ed iniziò a tratteggiare i contorni delle sue sensazioni e del paesaggio che la circondava. Sentiva intorno a sé l'abbraccio dell'Autunno; sembrava partecipe della sua stessa solitudine, quella melanconica e decadente stagione. Una foglia le regalò la sua ultima danza e andò a posarsi delicata sul foglio: per un attimo le apparve come l'immagine di uno specchio. La Primavera sarebbe arrivata, i fiori sarebbero germogliati ancora, ora era libera: avrebbe trovato una via per rinascere.

LA MOSTRA

La galleria era piena di gente quella sera. Non era usuale che ad essere esposti su quelle ampie mura bianche fossero dei disegni a matita. Forse la curiosità aveva inizialmente spinto quelle persone che ora se ne stavano ad osservare assorte gli schizzi di una giovane sconosciuta. Al centro della sala principale la donna che aveva allestito la mostra era intenta a rispondere alle domande. Più volte narrò della ragazza trovata per strada, buttata in un angolo col suo blocco di fogli. Ormai era già malata, non aveva potuto salvarla. Freddo e privazioni avevano irreversibilmente intaccato quel gracile corpicino. Almeno aveva salvato quegli strani disegni, che suscitavano in chi li guardasse un senso di soffocamento e di libertà allo stesso tempo, quasi di ineluttabilità. Tutti sostavano qualche minuto innanzi all'immagine di una foglia che coincideva con i tratti appena accennati di una mano; sullo sfondo un grigio paesaggio novembrino, che stonava in quella splendida serata di Primavera inoltrata e con gli eleganti abiti leggeri sfoggiati dai visitatori.

E proprio sul nascere dei germogli primi, l'ultima foglia aveva danzato nel vento.

DOMANI.

“Dream on” girava a ripetizione nel lettore cd. La voce di Tyler parlava ancora di sogni, mentre lei tirava giù le sue usuali gocce di Xanax. Guardava la bianca, spoglia stanza: un giorno avrebbe detto basta, sarebbe fuggita e sarebbe stata libera.

Un giorno, forse domani. Forse domani.

DALLA RICERCA SVOLTA NEL 2010, ESTRATTI: LE BENZODIAZEPINE ED I LORO EFFETTI.

Se cerchiamo su Wikipedia, alla voce benzodiazepine leggiamo:

"Le benzodiazepine sono una classe di farmaci con proprietà sedative, ipnotiche, ansiolitiche, anticonvulsive, anestetiche e miorilassanti. Le benzodiazepine sono spesso usate per offrire un sollievo di breve durata agli stati di ansia o insonnia grave o inabilitante.

Trovano altresì impiego nel trattamento delle crisi convulsive e come coadiuvanti nell'induzione dell'anestesia. A lungo termine può essere problematico l'uso di tali sostanze, per lo sviluppo della tolleranza e per il rischio di instaurazione di una dipendenza, fisica e psichica."

La facilità con cui i farmaci a base di benzodiazipine vengono prescritti e venduti, unita alla totale disinformazione della popolazione su di essi, li rende particolarmente pericolosi: chi li assume non si considera né viene considerato dalla società un tossicodipendente, mentre a tutti gli effetti lo è; la realtà è che sono droghe e le persone non lo sanno, comportano effetti ipnotici ed uno stato di dipendenza superiore a quello causato dall’eroina.

Una volta che si fa uso di tali sostanze, non se ne esce mai del tutto, si è sempre, per così dire, soggetti “borderline”, bisogna fare un lavoro su se stessi continuato nel tempo, restando sempre consapevoli di essere ex-dipendenti.

È quasi impossibile uscirne da soli, anche gli amici non possono fare molto, serve un terapista; la dipendenza che creano è troppo forte ed immediata, dopo una settimana sola di utilizzo è già fisica. Molte persone sottovalutano tale aspetto.

Proprio per questo, non si deve tentare di disintossicarsi da soli, ma fare un processo seguito di disassuefazione in ospedale; così ci si ripulisce fisicamente, evitando le terribili crisi d’astinenza, tanto intense da poter esser paragonate a crisi epilettiche.

Se pur si possedesse volontà tale da riuscire a sopportare l’astinenza, non bisogna privarsi improvvisamente di tali sostanze perché ci si possono procurare danni permanenti al sistema nervoso.

Il passo più difficile è riconoscere di aver un problema e decidere di affrontarlo; le cause che portano ad assumere psicofarmaci possono essere molteplici, ma in comune hanno che portano al voler dormire, al volersi annullare; proprio per la loro azione sul sistema nervoso, questi farmaci comportano perdita di volontà ed autocoscienza, fino a convincere chi li assume di non valere più niente e che non ha senso vivere.

Essendo sedativi, ma non curativi, ti proiettano in una sorta di stato ipnotico che, una volta svanito l’effetto, ti ripresenta davanti tutti i problemi da cui eri fuggito, amplificati da un senso di colpa crescente per aver di nuovo preso il farmaco; per quanto tenti di prometter a te stesso che è l’ultima volta, appena inizia l’astinenza il tuo unico pensiero è correr in farmacia.

Un ultimo avvertimento, rivolto ai genitori: bisogna far attenzione che i propri figli non guardino nell’armadietto delle medicine per prendersi gli psicofarmaci: questi sono spesso usati insieme all’alcool o ad altre sostanze per ottenere un forte sballo, che potrebbe, però, esser davvero letale.

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